di Chiara Tassi / Stella Mattioli
Stella Mattioli, ribattezzata in Madagascar Kintana (che in lingua malgascia vuol dire appunto stella), è una volontaria dell’associazione Alfeo Corassori – La vita per te di 25 anni che è nata e vive a Modena.
Stella, dopo una laurea in Scienze del Turismo a Macerata e un lavoro che dopo gli studi non è arrivato, ha deciso di buttarsi in un’avventura che da tempo le frullava per la testa ma che –per un motivo o per l’altro- veniva sempre rimandata: passare un anno all’estero a fare volontariato. La scelta è ricaduta sul Madagascar, ed in particolare sulla Missione di Padre Bruno a Marovoay, dopo aver rifiutato un “volontariato d’ufficio”, sempre nella Terra Rossa, per un’associazione reggiana: < Ho sempre rifiutato lavori d'ufficio in Italia perché non credo che sia il mio mondo –ha detto Stella- sarebbe stato ipocrita accettare lo stesso tipo di lavoro solo perché in Africa >.
Stella ha iniziato la sua esperienza a novembre dello scorso anno, e rimarrà in Madagascar, come dicevamo. per un anno: < Non avevo mai fatto esperienze di volontariato all'estero prima, e a molti questa scelta è sembrata incosciente –ci racconta Stella, raggiunta tramite e-mail- Un anno, beh, è un bel periodo.. ma io sapevo che un mese sarebbe stato poco. E infatti è così, ormai sono passati quattro mesi da quando sono partita, non mi sono mai pentita della scelta che ho fatto, ma soprattutto ho cominciato a rendermi bene conto di dove sono finita solo nell'ultimo mese >.
Non avendo una preparazione specifica, Stella in Missione fa’ un po’ di tutto: lavora sul progetto malnutrizione, preparando da mangiare per i bimbi e seguendo la crescita dei piccoli, quando c’è. Poi insegna italiano ai ragazzi che stanno facendo formazione per diventare Padri Carmelitani, alla ragazza che gestisce l’orfanotrofio e a tutte le persone che vogliono impararlo. Ma da anche una mano per le adozioni a distanza, fa piccoli lavoretti in Missione, guida l’ambulanza… insomma, una Kintana tutto fare, proprio quello che serve in una terra dove si deve saper fare tutto e niente, dove a volte –anzi, diciamocelo, spesso-è più importante fermarsi per strada a far due chiacchiere con la gente o asciugare le lacrime a un bimbo piuttosto che lavorare al computer su un progetto fantastico ma che poi ti toglie le emozioni che si vivono per strada, tra le persone.
Per conoscere un po’ meglio Stella, e quanto sta facendo in Madagascar, vi pubblichiamo un paio di mail che ci ha inviato lei stessa qualche tempo fa.
Così scrive Stella il 27 gennaio:
Per prima cosa il mio capodanno malgascio!
La mattina del 31 dicembre io ed Elisa (una mia amica che è venuta a passare qui le sue ferie) abbiamo aiutato le signore che seguono le adozioni a distanza a distribuire ai bimbi un sacchetto (che avevamo preparato qualche giorno prima) che conteneva un quaderno, qualche caramella, dei colori, un gioco e una maglietta o un paio di pantaloni e, dopo avere ritirato il “regalo”, i bambini passavano a prendere un panino farcito con la marmellata. Una cosa che mi ha colpito tanto è la disciplina con cui questi bambini aspettavano il loro turno davanti ad un tavolo su cui avevamo appoggiato qualche quaderno e qualche caramella per gli “intrusi”, ma come nessuno di loro abbia ceduto alla tentazione di mettersi qualcosa in tasca.. Sarebbe stato lo stesso in Italia? Non lo so..
Il programma della serata invece prevedeva cena a casa con anche le suore, il guardiano e la sua famiglia, io ed Elisa. Al pomeriggio ci siamo date da fare per preparare da mangiare: pizza, spiedini di zebù, riso (che non manca mai!) ed altre due specialità malgasce, una specie di calzoncini ripieni di carne e poi fritti (per gli esperti, i sambosa) e un impasto fatto con riso e cocco avvolto in foglie di non so quale pianta e poi cotti sulla brace. Da bere, a parte le bibite super zuccherate che piacciono tanto qui, i succhi di frutta, frutta VERA frullata a cui sono stati aggiunti acqua e un po’ di zucchero. Insomma…una cena da leccarsi i baffi!
E durante e dopo il banchetto musica e balli tipici. Il brindisi di mezzanotte, qualche altro ballo e poi tutti a letto! Il tipo di capodanno che piace a me, casalingo, senza troppi addobbi, niente tacchi o abiti eleganti… maglietta e pantaloncini…semplice ma davvero divertente!
Un’altra cosa di cui vi voglio raccontare è stata la prima (e per ora ultima) esperienza a bordo dell’ambulanza.. Anzi, alla guida! Sabato scorso, seguendo il solito iter “emergenza, dobbiamo andare a Mahajanga!” (ore 14) – aspetta la famiglia – decidiamo con che mezzo muoverci – l’ambulanza non parte, bisogna spingere – Lala, l’autista “ufficiale” vorrebbe riposarsi ma è un po’ spaventato all’idea che IO guidi l’AMBULANZA fino a Mahajanga – Lala si convince in fretta e torna a casa (!!!) – non troviamo la tanica di benzina e l’ambulanza è a secco – riusciamo a partire da dispensario ma dobbiamo comunque fermarci al distributore a fare il resto della benzina (abbiamo messo solo 4 litri così la tanica di scorta può essere usata in un’eventuale emergenza notturna) – partiamo (ore 16).
Io ero tranquilla all’idea di guidare quell’ospedale ambulante ma la quasi mamma non stava bene e dovevamo fare in fretta: l’emergenza era dovuta dal fatto che il bimbo aveva pensato bene di uscire con il sedere e, anche se fosse nato naturalmente, era probabile la necessità di una rianimazione che da solo Misoa non avrebbe potuto fare.
Dopo circa 12 Km bussano da dietro, mi fermo e Misoa visita la donna: il bimbo era impaziente e voleva farsi conoscere presto, ma davanti a noi avevamo ancora 80 Km…e non di autostrada! Comunque ripartiamo. Una decina di km dopo tornano a bussare, io accosto e.. non c’è più tempo!! Il sedere del bimbo era fuori! Misoa indossa i guanti e via, al lavoro.. Vi risparmio i dettagli perché sono stati attimi in cui ho avuto davvero paura, la testa faticava ad uscire e diciamo che Misoa ci ha messo “del suo”.. Appena uscita, quella piccola peste non piangeva ma si poteva vedere il petto muoversi velocemente, dai che sta bene!! E infatti dopo qualche “carezza” ha cominciato a piangere come è giusto che un bambino faccia! Che sollievo ragazzi, ho trattenuto il fiato per un bel po’!
Dopo essersi occupata del bimbo e della mamma, Misoa ha deciso che non c’era bisogno di arrivare a Mahajanga e quindi siamo tornati indietro.. Potete immaginarvi con che gioia sono andata a dormire quella sera! Una giornata intensa!
A parte questa grande avventura, con i parti ho un po’ rallentato il ritmo, le mie giornate sono abbastanza piene e il fatto di essere sempre a disposizione anche per correre al dispensario in qualsiasi momento del giorno e della notte mi aveva un po’ steso dal punto di vista fisico e poi mi costringeva a lasciare indietro altri impegni che avevo presto con altre persone, e non mi sembrava giusto. Così adesso sono sempre disponibile se (vedi sopra) c’è bisogno di guidare l’ambulanza o in casi particolari, altrimenti Misoa (che è ben abituata a fare tutto da sola) fa con le sue mani..
Per il resto qui la vita procede, il progetto della malnutrizione è difficile perché, per scelta o per necessità (in questo periodo si lavora nelle risaie e le famiglie più povere non possono permettersi di perdere neanche un giorno di lavoro), le famiglie non seguono i nostri consigli e soprattutto non rispettano i tempi (siamo sempre in Africa, no?) e quindi a volte il lavoro a singhiozzo non porta a dei buoni risultati. Ma ogni volta che la bilancia segna anche solo 100 grammi in più dell’ultimo controllo, beh, un sorriso si stampa sulla mia faccia!
Purtroppo adesso c’è una bimba in particolare che ci fa stare in pensiero: si chiama Tombotsara, ha 14 mesi e mezzo e pesa 2Kg e 900 grammi. Fino a qualche settimana veniva tutti i giorni al dispensario a mangiare ma purtroppo la madre ha smesso di portarla con regolarità, è venuta a sabati alterni nell’ultimo mese. La sua linea nel grafico del peso/età è SEMPRE rimasta nella fascia rossa della malnutrizione, è praticamente orizzontale e l’ultima volta è andata addirittura fuori dal grafico, come se fosse impossibile che un bambino della sua età possa arrivare a pesare così poco! Il “problema” in questa situazione è la famiglia della bambina: la madre è innamoratissima, farebbe di tutto per lei, ma il resto della famiglia non è più disposto a fidarsi dei medici o del personale del dispensario e l’ultima volta che l’abbiamo vista (2 settimane fa) la mamma, quasi in lacrime, ci ha detto che non avrebbe potuto portare Tombotsara all’ospedale a Mahajanga come noi abbiamo suggerito perché la famiglia di suo marito voleva portarla dal “santone” del villaggio perché lui sì che avrebbe potuto fare qualcosa!!
Il fatto che ormai non la si veda da così tanto non fa sperare a niente di buono ma non continuiamo a credere che possa ancora stare “bene”: magari una di queste mattine troverò la mamma con in braccio la bimba ad aspettarci perché è pronta per andare all’ospedale! Lo spero proprio!
La scorsa settimana invece ci siamo lanciati in una nuova avventura: la farmacia del dispensario è gestita un po’ alla giornata, ma crediamo che ci sia bisogno di una gestione un po’ più strutturata (inventario, ordine preciso sugli scaffali, un programma di “contabilità semplificata”). Piccole cose che però dovrebbero aiutare il lavoro di tutti i giorni ed evitare gli sprechi. Allora io e Padre Moizy siamo stati a Mahajanga (su suggerimento di Misoa) a parlare con le suore di un dispensario ben più grande di quello di Marovoay (forse non fisicamente, ma che offre servizio a più malati) e che quindi ha bisogno di una gestione attenta.
A capo di questo dispensario c’è una suora svizzera (i presupposti sono buoni!) che da anni collabora con l’associazione “Farmacisti Senza Frontiere” (mi è venuta voglia di fondare “Disoccupati Senza Frontiere”, ci manca solo quest’associazione per completare il quadro!) e quindi seguono dei parametri e delle linee guida ben precisi. In questo momento a rappresentare l’associazione a Mahajanga c’è Rachèle, una farmacista anche lei svizzera che si è dimostrata molto disponibile per aiutare anche noi.
L’idea sarebbe quella di cominciare un progetto pilota che permetta di creare un pacchetto “fai-da-te” per tutti quei dispensari che vogliono migliorare ma nei quali non è possibile assicurare la presenza costante di un membro dell’associazione.
La voglia di fare c’è, sappiamo bene che i tempi sarebbero lunghi ma da qualche parte bisogna pur cominciare!
Ora che ho finito di raccontare i fatti, vi scrivo un po’ di come sto vivendo queste giornate impegnate al punto giusto…
Poco prima di Natale mi sono fermata un attimo e mi sono accorta che c’era qualcosa di sbagliato in tutto quello che stavo facendo: l’orologio sempre alla mano, testa bassa mentre andavo e tornavo dal dispensario, la paura perenne di essere in ritardo e di non fare abbastanza: tutti i buoni propositi con cui ero partita forse erano rimasti in Italia! Perché, come mi sono sempre detta (ed è davvero il punto principale per un’esperienza come quella che sto facendo io), non si può cambiare il mondo stando qui e, soprattutto, le cose andavano avanti prima che arrivassi e continueranno a farlo quando me ne andrò! Quindi non serve a niente che io mi preoccupi di fare 20 cose in un giorno se poi, alla sera, l’unica cosa di cui mi ricordo è a che ora ho finito di pelare le patate ma non so i nomi dei bimbi per cui ho preparato la zuppa! Allora ho deciso sì di FARE, ma anche di FERMARMI, fermarmi a chiacchierare con chi incontro lungo la strada solo perché vuole farmi le solite domande:
– Come va?
– Bene, grazie!
– Cosa c’è di nuovo?
– Non c’è niente di nuovo!
– Cosa si dice in giro?
– Non si dice niente in giro! (eh sì, ci sono due modi per domandare se ci sia qualcosa di nuovo e di solito li infilano uno dietro l’altro. E il bello è che tanto tutti rispondono sempre che non ce ne sono, di novità né di cose da dire!)
– Arrivederci!
– Arrivederci!
fermarmi al dispensario a fare due chiacchiere in italiano con il personale, visto che adesso qualcuno sta provando ad impararlo, anche se questo comporta il fatto che mi siederò a tavola un quarto d’ora più tardi, fermarmi a giocare con i bimbi della malnutrizione anche se sta per piovere e probabilmente mi bagnerò, fermarmi a prendere il caffè a casa di Mamitiana (uno dei due tecnici di laboratorio del dispensario che parla abbastanza bene e con il quale è quindi facile la comunicazione) e della sua famiglia anche se sono le 18 e vorrei correre a casa sotto la doccia perché sono davvero morta.
E da quando ho cambiato il mio modo di vivere qui, beh, va tutto sempre meglio! E poi, sempre per il discorso “possono farlo anche senza di te” quindi non sentirti in colpa se te ne vai per un po’, se alle 7,30 di mattina mi viene proposto di partire praticamente SUBITO per andare 2 giorni in un villaggio raggiungibile solo con la barca (a motore, ma che avventura!) e nel quale non c’è acqua corrente ne elettricità, ovviamente dico di sì!
Ecco un’altra cosa di cui parlare, sarò sintetica: i miei compagni di viaggio, lungo il tragitto, hanno bevuto l’acqua dal fiume (alla faccia dello stomaco forte), ho assistito alla lezione di due classi nella stessa aula (la scuola è così piccola che materna e una classe delle elementari devono convivere: 90 bimbi in una stanza che in Italia basterebbe per 25!), ho bevuto un’acqua che non era sporca ma.. chissà! Niente mal di pancia comunque, la prossima volta passo al livello successivo e seguo l’esempio dei naviganti ;). Ho dormito in una casa nel cui giardino si sono accomodati due zebù. E tutto questo sul fiume, con un panorama, all’alba, che era davvero uno spettacolo. Ogni giorno un’emozione nuova!
Beh, concludo questa mail confessandovi che SONO STATA CLANDESTINAPER UN MESE!
Eh si, ho avuto qualche “problemino” con il visto, perché il timbro che mi hanno fatto al mio arrivo in aeroporto è turistico -dura un mese- è gratis. E non è rinnovabile!! Per poter stare in Madagascar per più di un mese bisogna partire dall’Europa con un timbro diverso, da procurarsi all’ambasciata, e che permette di prolungare il visto. Pensate che all’ufficio immigrazione (!!) mi avevano detto che sarei dovuta tornare in Italia, farmi apporre il timbro corretto e rientrare in Madagascar.
Beh, ora è tutto a posto, visto rinnovato, patente malgascia alla mano.. ve l’ho detto, le emozioni non finiscono mai!!
Adesso vi saluto, vi mando un grande abbraccio, spero che stia andando tutto bene anche lì da voi!
A presto,
Kintana
Così scrive Stella il 31 gennaio:
vi scrivo a distanza di poco dall’ultima mail perché credo di dovervi dire che lunedì, dopo che le mamme che portano i figli al dispensario a mangiare mi hanno detto che Tombotsara non era venuta nelle ultime due settimane perché stava male, sono stata a casa sua per provare a convincere i suoi genitori a portarla all’ospedale. Purtroppo però sono arrivata tardi: è morta due settimane fa.
A parte l’avventura per trovare la casa della sua famiglia (che vive in un “villaggio” -forse 10 case in tutto sparse tra campi di arachidi e di granoturco- raggiungibile solo con la barca a remi) che abbiamo cercato chiedendo casa per casa se conoscessero “la mamma di Tombotsara -che, per inciso, vuole dire “buona crescita”, nome che le è stato dato dopo che è nata prematura-, purtroppo era troppo tardi. E sapeste la dolcezza con cui Christian, uno dei Frera che era venuto con me per aiutarmi con la lingua, si è girato verso di me quando gli hanno detto che la bimba era morta: io avevo capito (purtroppo!) ma lui, dopo essersi girato verso di me preoccupato per la mia reazione, si è rivolto nuovamente verso il ragazzo con cui aveva parlato per chiedere conferma, come se sperasse anche lui di aver capito male!
Una volta arrivati a casa della famiglia di Tombotsara, la mamma è uscita e quando mi ha visto si è messa a piangere. Ha raccontato di come, dopo l’ultimo sabato al dispensario, fosse tornata a casa, avesse parlato con suo marito e fossero entrambi d’accordo di portarla all’ospedale. E domenica sono partiti. Ma la piccola Tombotsara non ce l’ha fatta ed è morta durante il tragitto. Vi potete immaginare che delusione e che tristezza.
La mamma ha fatto vedere a Christian il carnet di Tombotsara sul quale era segnato il suo peso settimana per settimana: non riusciva a prendere peso, e quando aumentava di qualche etto, la settimana successiva eravamo punto e a capo.
Prima di andare via ho deciso di lasciare comunque loro il latte e i biscotti che avevo portato per la piccola, se l’avessi trovata sana e salva, e un po’ di soldi, anche se non ne avevo tanti, perché vivono proprio con niente! Quando la mamma ha visto il latte si è tornata a commuovere, le voleva davvero un bene dell’anima.
Tornando a casa ho deciso che avrei preparato per loro una borsa con un po’ di cose da mangiare, qualche vestito e un po’ di soldi. Elisa prima di tornare in Italia me ne ha lasciati un po’ da usare al meglio. Questo credo che sia il meglio, perché se Tombotsara non ce l’ha fatta, speriamo che i suoi fratelli e la sua famiglia riesca a stare bene anche per lei!
La vita va avanti, qui soprattutto: dopo mezz’ora dal mio rientro siamo partiti con l’ambulanza per l’ospedale (una nuova vita è venuta al mondo!!). Ma da lunedì, ancora più di prima, ogni volta che la bilancia segnerà un etto in più, sarà una gioia immensa!
Mi dispiace per questa mail poco allegra, ma non tutti i giorni sono felici neanche dall’altra parte del mondo!
Io comunque continuo a sorridere.. E a fare il possibile!
Vi mando un grande abbraccio!
Kintana